La cupidigia

La cupidigia riguarda una brama smodata.

Metaforicamente si potrebbe pensare ad un suono (cit. una parola al giorno) in cui risuonano e decadono gli altri.

Il rumore di una bestia in una grotta dalla brama sfrenata, che non è mai sazia della sua stessa golosità, della sua stessa avarizia.

E questo è diverso dal desiderio di arrivare e di ottenere un potere mitologico, perchè si trasforma in una brama rivolta verso sé stessa, che non tiene conto della propria ecologia interna, con le conseguenze che ne possono derivare, né considera il contesto esterno, che viene visto come altro da conquistare per il gusto stesso di riuscire ad ottenerlo.

Dante, parlando della Lupa nell’Inferno, scrive: “che più che l’altre bestie hai preda … la tua fame sanza fine cupa”, riferendosi alla corruzione e alla sete di potere della Chiesa del tempo.

San Paolo si riferì alla cupidigia come la radice di tutti i mali.

Possiamo paragonare la cupidigia ad uno di quei vortici che crea una circolarità infinita di attenzione verso sè stesso e, di conseguenza, di in-attenzione verso l’altro.

Beatrice stessa nella Divina Commedia, parla di “cieca cupidigia che ammalia gli uomini e toglie loro il senno”.

Ed è interessante come alcune sensazioni possono prendere il sopravvento, se non riconosciute già nelle fasi iniziali.

Tali moti tendono a rendere ciechi, nella misura in cui non ci si accorge più di esserne assoggettati.

E questo richiama la spirale che molto probabilmente riguarderà (o già riguarda) il rapporto dell’uomo con la tecnica.

Tale concetto viene spiegato molto bene da Galimberti quando dice che i greci tendevano a rappresentare opere maestose, ma sempre a misura d’uomo, secondo un metro riconoscibile, riconosciuto, riconducibile all’uomo in quanto mortale, finito.

Mentre è ormai avvenuta una liberazione della tecnica.

Il famoso Prometeo che era stato incatenato dal mito è stato assolutamente “scatenato” attraverso quella tecnica che andrà probabilmente oltre la cupidigia stessa, liberata e autonoma, completamente separata da una misura umana.

Una cupidigia nelle mani di sempre meno individui con sempre più potere, attraverso le quali si gestiranno le fondamenta della vita sociale e civile, soprattutto in rete, di milioni di persone.

Da un altro punto di vista la cupidigia potrebbe essere qualcosa di ricercato, connesso con l’avere brama di potere “sano”, di successo ecologico e di realizzazione personale autentica, attraverso una connotazione non moralistica della cupidigia stessa.

Se, al contrario, la cupidigia viene agita in maniera esasperata e a-consapevole, non riconosciuta, rischia invece di offuscare, accecare, invadere tutti gli aspetti emotivi “funzionali” e di civile convivenza.

E questo si connette a quello che Galimberti definisce il “secondo misura” di origine greca.

Saper trovare il giusto equilibrio, in un contesto attuale in cui è molto complesso saper attendere e sapersi individuare in maniera autentica, prendendo le giuste distanze dalle mode e dai trend del momento, rimanendo fedeli a sé stessi non attraverso un autocompiacimento narcisistico, ma tramite una ricerca selettiva e di nicchia.

Il “kàta métron”, la giusta misura, la “propria misura” in quanto esseri umani mortali, può essere un ritorno alle origini molto difficile da conquistare.

La struttura stessa con cui sono stati progettati i principali social network o l’intrattenimento digitale ricercano esattamente l’opposto.

Mirano infatti all’intrattenimento per l’intrattenimento stesso, che lo eleva a contenitore del contenuto (non esente da un particolare punto di vista proposto/imposto e della relativa visione del mondo particolare), per catturare in maniera avida ed estremamente selettiva l’attenzione del fruitore.

Un pollice che scorre all’infinito verso il basso, su un piccolo schermo.

Continuare, continuare e continuare a visualizzare, anche se siamo consapevoli che non stiamo impiegando il nostro tempo come vorremmo, o vorremmo smettere, senza riusirci.

Una cupidigia e un’avidità indotte dal voler dimenticare e dimenticarsi, ricercando una separazione momentanea e fittizia dalla realtà, che non fa altro che regalare ulteriore avidità e cupidigia a chi detiene e controlla queste piattaforme, a chi introduce dei contenuti su queste piattaforme.

Si arriverà ad un punto in cui l’uomo, con il suo essere, si scontrerà con la tecnica ed il suo fare e bisognerà capire se ci saranno strumenti adeguati per garantire un confronto alla pari tra i due.

Bisognerà inoltre capire se è presente un’avidità o una cupidigia nascosta che guida chi è dietro la gestione delle piattaforme, dietro la gestione unificata dei social network e della loro moderazione.

Ci sarà una ricostruzione del senso al di là di questi strumenti?

Una ricostruzione del senso che riesca a separare l’identità dal possesso, la realizzazione personale dalla ricerca dell’immagine che si vuole avere di sé.

Sempre più curati e belli, secondo canoni statistici o di massa, sempre più ricchi e realizzati (almeno superficialmente) e, allo stesso tempo, sempre meno presenti, concentrati, sensibili a ciò che si prova, a ciò che si sente.

Si potrebbe forse giocare su tale prospettiva della cupidigia, per utilizzarla in maniera ecologica, riconoscendo qual è il limite.

Non arrivando alla vera e propria cieca avidità, come dice Dante, ma fermandosi prima.

In maniera consapevole, sfruttando la pulsione sottostante alla volontà di successo e potere, indirizzandola in maniera contro-intuitiva e controcorrente, funzionalmente al vivere una vita da esseri umani consapevoli.